sexta-feira, 31 de dezembro de 2010

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Brésil : au dernier jour de son mandat, Lula refuse l'extradition de Battisti

LEMONDE pour Le Monde.fr | 31.12.10 | 17h24 • Mis à jour le 31.12.10 | 17h29


Cesare Battisti quitte le tribunal de Rio devant lequel il est jugé pour être entré sur le territoire brésilien avec un faux passeport.

Cesare Battisti quitte le tribunal de Rio devant lequel il est jugé pour être entré sur le territoire brésilien avec un faux passeport.AFP/ANTONIO SCORZA

Rio de Janeiro, correspondant - L'ancien activiste italien d'extrême-gauche, Cesare Battisti, ne sera pas extradé du Brésil vers son pays où il est sous le coup d'une peine de réclusion à perpétuité. Ainsi en a décidé, vendredi 31 décembre, le président brésilien, Luiz Inacio Lula da Silva, au dernier jour de son mandat.

L'annonce du refus brésilien d'extrader Battisti a provoqué aussitôt un regain de tension diplomatique entre Rome et Brasilia. Par la voix de son ministre de la défense, Ignazio La Russa, l'Italie a qualifié cette décision d'"injuste et gravement offensante ".

"Les pires prévisions se sont avérées, a ajouté le ministre. Mais l'Italie tentera absolument tout afin que le Brésil revienne" sur ce choix. Brasilia a immédiatement répliqué en jugeant "impertinente" la réaction italienne exprimée la veille par Rome et qui estimait à l'avance "absolument incompréhensible et inacceptable" une éventuelle non-extradition de Battisti.

La décision du président Lula, prise "sur la base d'un rapport du procureur général", a été annoncée, vendredi, à Brasilia, par le ministre des affaires étrangères, Celso Amorim. Lisant un communiqué officiel, M. Amorim a précisé que "cette décision ne représente pas un affront envers un autre pays".

LA COUR SUPRÊME DE BRASILIA AVAIT AUTORISÉ L'EXTRADITION

Lula aura donc attendu les toutes dernières heures de son mandat présidentiel pour annoncer l'une des décisions les plus délicates – et fatalement controversée – qu'il aura eues à prendre. Samedi 1er janvier, il cède son fauteuil de chef de l'Etat à Dilma Rousseff, la première femme élue présidente du Brésil.

En théorie, il aurait pu l'annoncer depuis de longs mois. En novembre 2009, après plusieurs épisodes judicaires, la Cour Suprême de Brasilia avait autorisé, par cinq voix contre quatre, l'extradition de Battisti mais laissé, par une même majorité, au chef de l'Etat le soin d'exécuter cette décision.

Battisti a été condamné par contumace en 1993, en Italie, pour avoir commis ou préparé quatre homicides en 1978 et 1979 dont il s'est toujours proclamé innocent. Réfugié en France en 1990, après s'être échappé de prison, il est devenu auteur de romans noirs. En 2004, pour échapper à une extradition, il s'est enfui au Brésil, grâce à des faux papiers fournis, selon lui, par des agents secrets français.

Cesare Battisti, le 19 mars 2007, à Brasilia..

Le ministre de la justice brésilien,Tarso Genro, décide d'accorder le statut de réfugié politique à Cesare Battisti.AFP/VANDERLEI ALMEIDA

Arrêté à Rio de Janeiro, en mars 2007, il a été incarcéré dans une prison de Brasilia. En janvier 2009, le ministre de la justice, Tarso Gero, a octroyé à Battisti le statut de réfugié politique. En agissant ainsi, le ministre avait contredit l'avis défavorable à Battisti, formulé en novembre 2008 par le Comité national pour les Réfugiés.

LULA A PRÉFÉRÉ NE PAS SUIVRE L'AVIS DE LA COUR SUPRÊME

Le ministre, lui-même un ancien militant d'extrême-gauche, s'est toujours défendu d'avoir fait preuve de complaisance envers Battisti pour des raisons idéologiques. Il a mis en avant une jurisprudence datant de mars 2007 qui avait bénéficié à un ex-guérillero de la Farc colombienne.

L'Italie avait ensuite saisi la Cour Suprême en demandant que Battisti soit extradé conformément au traité signé en 1989 entre les deux pays. La Cour avait nié le caractère politique des "crimes de sang prémédité" imputés à Battisti. Elle avait autorisé son extradition à une seule condition, déjà acceptée par l'Italie : la réclusion perpétuelle qui frappe Battisti devait être convertie en une peine de trente ans de prison, conformément à la législation brésilienne.

Lula avait fait savoir à plusieurs reprises qu'il était hostile à l'extradition. Il a donc préféré ne pas suivre l'avis de la Cour Suprême. Nombre de ministres brésiliens, appartenant au Parti des Travailleurs de Lula et venus de l'extrême gauche, se sont sentis solidaires de Battisti, même si aucun ne l'a jamais reconnu ouvertement.

En Italie, la classe politique tout entière continue de condamner le comportement de Battisti qui n'a jamais exprimé le moindre repentir ni demandé pardon pour les crimes qui ont justifié sa condamnation.

Jean-Pierre Langellier

Corriere dela Sera.

Dal governo italiano ipotesi di ritorsioni diplomatiche. Molti ministri pronti a mobilitarsi

Battisti, Lula dice no all'estradizione

Il presidente brasiliano nega il rimpatrio dell'ex terrorista. Critiche al governo: «Italia impertinente»

Dal governo italiano ipotesi di ritorsioni diplomatiche. Molti ministri pronti a mobilitarsi

Battisti, Lula dice no all'estradizione

Il presidente brasiliano nega il rimpatrio dell'ex terrorista. Critiche al governo: «Italia impertinente»

Cesare Battisti al momento del suo arresto in Brasile nel marzo 2007 (Ansa)
Cesare Battisti al momento del suo arresto in Brasile nel marzo 2007 (Ansa)
MILANO - Cesare Battisti non sarà estradato in Italia. Il presidente Brasiliano, Ignacio Lula da Silva, ha deciso di seguire l'orientamento già espresso dall'Avvocatura generale dello Stato che giovedì si era detta contraria al rinvio in Italia dell'ex terrorista dei Pac, i Proletari armati per il comunismo, accusato di quattro omicidi per i quali non aveva mai scontato alcuna pena. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha commentato negativamente la decisione di Lula e ha fatto sapere che «la vicenda è tutt'altro che chiusa», annunciando che l'Italia farà tutto il possibile per far valere i propri diritti. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha intanto richiamato l'ambasciatore italiano a Brasilia per comunicazioni. Vissuto per anni da latitante a Parigi, Battisti era poi fuggito prima dell'estradizione che l'Eliseo sembrava intenzionato a concedere e si era rifugiato in Brasile, dove era stato poi fermato nel marzo 2007. Sostenuto da un movimento di opinione contrario all'estradizione, Battisti ha sperato fino all'ultimo nel diniego del capo dello stato al suo trasferimento in Italia. E la sua speranza è stata ripagata. Lula ha preso la sua decisione nell'ultimo giorno di permanenza alla guida del Paese, prima di passare la mano a Dilma Rousseff, vincitrice delle ultime presidenziali, che a giugno, interpellata in proposito, si era detta favorevole all'estradizione: «Si dovrà applicare la decisione del Supremo Tribanle Federale» aveva detto.

«ITALIA IMPERTINENTE» - La decisione di Lula è stata annunciata dal ministro brasiliano degli Esteri, Celso Amorim che ha anche fatto sapere che il governo brasiliano considera «impertinente in particolare nel riferimento personale a Lula» la nota diffusa ieri dal governo italiano circa il caso Battisti, laddove si definiva «incomprensibile e inaccettabile» un eventuale no all'estradizione. Secondo la nota del governo di Brasilia, la decisione di Lula non rappresenta un affronto verso un altro Paese «nel momento in cui si creano situazioni particolari che possono generare rischi per la persona, nonostante il carattere democratico dei due Stati». Il ministro Amorim ha detto di non ritenere che il presidente Lula si metterà in contatto con le autorità italiane. Lo stesso esponente del governo brasiliano ha detto di non credere che la decisione di oggi possa pregiudicare i rapporti tra i due Stati.

TORREGIANI: VERGOGNA - Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso nel 1979, a sua volta colpito dai proiettili sparati terroristi e da allora costretto a muoversi su una sedia a rotelle, appena appresa la notizia, ha definito la decisione di Lula «una vergogna incomprensibile» e ha indicato il boicottaggio del Brasile come unica soluzione. Al di lá dell'indignazione, il figlio di Torregiani crede sia giunta l'ora di passare ai «fatti concreti». Ecco perchè il prossimo 4 gennaio, davanti all'ambasciata brasiliana a Roma si terrà un sit in. «L'Italia tutta unita - ha detto - deve scendere in piazza. Estendo la partecipazione anche ai politici, di destra e di sinistra. Non vogliamo bandiere perchè nella nostra manifestazione non si devono creare distinguo politici». In quell'occasione, sará ufficializzata la nascita del Comitato vittime di Battisti. «Un comitato - ha precisato Torregiani - apartitico e apolitico. Deve essere ben chiaro che questo non è solo un problema italiano». Torregiani ha detto di vivere la decisione del governo brasiliano come una «colossale presa per i fondelli». «Abbiamo sempre agito in maniera pacata, nel rispetto delle regole e ora ci troviamo davanti ad una decisione assurda e incomprensibile - ha detto - . Sarebbe stato più nobile dirlo subito e invece hanno giocato con le nostre vite, con i nostri sentimenti. La misura è colma».

CASO ANCORA APERTO - Il caso, tuttavia, non è affatto chiuso. Anzi è destinato ad andare avanti anche nelle prossime settimane secondo quanto scriveva oggi la stampa brasiliana, nell'attesa del «verdetto» del presidente. Veniva in particolare rilevato come Battisti dovrà comunque rimanere in carcere fino a febbraio. Il «dossier Battisti» dovrà infatti tornare, per una nuova analisi del caso, nel Supremo Tribunal Federal (Stf) del Brasile. Tale nuova valutazione potrà avvenire solo a febbraio, quando l'Stf riprenderà le attività dopo la pausa estiva in Brasile, ha detto Peluso al Folha de S.Paulo, secondo il quale il relatore del caso nella nuova analisi dell'Alta Corte sarà Gilmar Mendes, ex presidente dell'Stf che un anno fa, quando il caso Battisti venne esaminato dal tribunale, votò a favore dell'estradizione.

LE REAZIONI IN ITALIA - In Italia la vicenda continua a tenere vivo il dibattito politico. Diversi esponenti del governo, da Bossi a Calderoli, da Giorgia Meloni a Ignazio La Russa, avevano ipotizzato ritorsioni più o meno eclatanti in caso di pronunciamento contrario all'estradizione. Anche diversi esponenti del Pd e dell'Idv si sono detti favorevoli all'estradizione e solo il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, aveva detto di considerare eccessive le reazioni invitando tutti ad accettare con serenità le decisioni del presidente Lula, qualunque fosse stato l'orientamento emerso.

Redazione online
31 dicembre 2010

quarta-feira, 29 de dezembro de 2010

Estado de São Paulo.

Início do conteúdo

WikiLeaks põe Brasil na rota da droga

Embaixada dos EUA em La Paz estima que, em apenas dois meses de 2009, 175 aviões suspeitos de carregar cocaína saíram da Bolívia com destino ao território brasileiro; Brasília também expôs receio de vínculos entre governo boliviano e traficantes

29 de dezembro de 2010 | 0h 00
Jamil Chade - O Estado de S.Paulo

Para a diplomacia americana, o Brasil é peça central na rota do tráfico de drogas no mundo, segundo uma série de telegramas enviados de diversas embaixadas dos EUA e vazados pelo WikiLeaks. Os documentos ainda mostram como o Itamaraty estaria "preocupado" com a "conexão entre o governo boliviano e os produtores de coca" e revela dados alarmantes sobre o volume do tráfico entre Bolívia e Brasil.

Ed Ferreira/AE-6/7/1999
Ed Ferreira/AE-6/7/1999
Cultivo legal. Agricultor em plantação autorizada de coca na região boliviana do Chapare, berço político de Evo

O Estado mostrou ontem como a droga que sai do Brasil estaria ajudando a financiar as atividades da Al-Qaeda no Magreb. Agora, os telegramas indicam que as rotas são ainda mais complexas e o Brasil, para muitos traficantes, tornou-se o caminho para permitir que a droga chegue à Europa, EUA e Ásia.

Uma das preocupações centrais dos americanos refere-se ao governo do boliviano Evo Morales. Os documentos mostram um debate que chegou a contaminar a eleição presidencial brasileira: o suposto envolvimento de autoridades no tráfico.

Em um telegrama de 19 de fevereiro, o governo americano diz que o Itamaraty vê com grande preocupação a relação entre o governo boliviano e os produtores de coca. Em uma reunião entre o embaixador americano no País, Thomas Shannon, e a subsecretária de Política da chancelaria, Vera Machado, a brasileira não esconde o temor.

"(Vera) Machado acredita que a situação na Bolívia se estabilizou, mas se mantém preocupada sobre as conexões entre o governo e os produtores de coca", registra Shannon. "Ela (Vera) admitiu a ameaça para a região do tráfico de drogas, mas identificou como principal fonte o problema do consumo nos países ricos", disse.

Telegramas da Embaixada dos EUA em La Paz dão uma demonstração de como o Brasil de fato tem motivos para estar preocupado. Em 17 de dezembro de 2009, um telegrama estima em 175 o número de aviões suspeitos de carregar cocaína que cruzaram a fronteira entre Bolívia e Brasil em apenas dois meses.

Autoridades americanas teriam traçado um cenário sombrio a diplomatas americanos: "A falta de controle sobre seu espaço aéreo resulta em praticamente uma liberdade total para o narcotráfico."

Mas, em outro telegrama, de julho de 2010, o presidente do Senado boliviano, Oscar Ortíz, prefere colocar a culpa no Brasil. Em conversa com o embaixador Shannon, Ortíz "lamentou o aumento do tráfico de drogas e o fato de brasileiros e a União Europeia tolerarem isso".

Via Maputo. Mas não é apenas a droga direcionada à Europa que passa pelo Brasil. Em um telegrama de 16 de novembro de 2009, a embaixada americana da capital moçambicana, Maputo, informa Washington como "a rota principal para a cocaína por via aérea que chega em Maputo vem do Brasil".

Segundo a informação, a queda no volume de droga confiscada no aeroporto de Maputo nos últimos meses não seria motivada pela redução do tráfico, mas pelo aumento do controle da polícia e das autoridades de imigração. "Domingos Tivane, o diretor da Aduana, está diretamente envolvido em facilitar o transporte da droga", acusa o telegrama americano.

Parte importante do tráfico seria feito pelo empresário Mohamed Bashir Suleiman, que usaria ainda o porto de Dubai e contêineres com televisão e mesmo carros para esconder a droga. Segundo os americanos, ele teria conexões na Somália, Paquistão, América Latina e Portugal.

O telegrama ainda revela que Suleiman "tem uma relação próxima com o ex-presidente de Moçambique Joaquim Chissano e o atual presidente, Armando Guebuza". "A corrupção endêmica em Moçambique leva a uma situação em que traficantes de drogas têm acesso livre ao país", aponta o telegrama.

Ainda de acordo com o documento, a Frente de Libertação de Moçambique (Frelimo) - movimento histórico que libertou Moçambique do colonialismo português - "esconde o nível de corrupção da imprensa e da comunidade internacional".



terça-feira, 28 de dezembro de 2010

Estado. Só uma perguntinha: e o foro privilegiado dos políticos?

Cezar Peluso quer mudar Constituição para acabar com indústria de recursos

Presidente do STF já adiantou ao futuro ministro da Justiça que vai trabalhar para estabelecer que todos os processos terminariam depois de julgados pelos tribunais de Justiça ou pelos tribunais regionais federais

28 de dezembro de 2010 | 9h 31
Felipe Recondo, Mariângela Gallucci e Rui Nogueira - O Estado de S.Paulo

Uma mudança radical no sistema de recursos judiciais está na cabeça do presidente do Supremo Tribunal Federal (STF), Cezar Peluso. Uma proposta que, se levada adiante e der certo, visa diminuir radicalmente a impunidade, acabar com a proliferação de recursos para os tribunais superiores e encurtar drasticamente o andamento dos processos.

Ed Ferreira/AE
Ed Ferreira/AE
Brasil é o único País do mundo que tem quatro instâncias recursais", afirmou Peluso

Peluso já adiantou ao ministro da Justiça do governo Dilma Rousseff, José Eduardo Cardozo, que vai trabalhar para mudar a Constituição e estabelecer que todos os processos terminariam depois de julgados pelos tribunais de Justiça ou pelos tribunais regionais federais. Os recursos ao Superior Tribunal de Justiça e ao STF serviriam apenas para tentar anular a decisão, mas enquanto não fossem julgados, a pena seria cumprida.

"O Brasil é o único País do mundo que tem na verdade quatro instâncias recursais", afirmou Peluso em entrevista ao Estado. Boa parte da polêmica em torno da Lei da Ficha, disse o ministro, estaria resolvida. Os críticos da lei afirmam que viola o princípio da inocência a previsão de que estão inelegíveis os políticos condenados por órgãos colegiados, como tribunais de justiça, mesmo que ainda haja recursos pendentes no STJ e no STF. Se os processos terminarem na segunda instância, essa discussão acabaria. Mas o presidente adianta que espera forte resistência: "Pode escrever que isso terá a resistência dos advogados. Pode ter certeza."

Se o senhor tivesse que tomar duas decisões para melhorar a Justiça, quais seriam?

Não existe uma coisa só que se resolvida solucionaria todo o problema do Judiciário. Há vários pontos de estrangulamento. A celeridade é importante, mas não a levo às últimas consequências como a coisa mais importante.

Por quê?

Primeiro porque o problema do retardamento dos processos não é uma coisa tipicamente brasileira. Nós temos estatísticas da Europa, particularmente Portugal, Espanha, Itália, e também nos países anglo-saxões. A Justiça tem certa ritualidade que implica tempo. O que não pode haver são esses casos absurdos de processos que passam de gerações. Mas isso envolve outro problema que é objeto de grande preocupação nossa e queremos celebrar um novo pacto republicano para resolver isso.

Que problema?

É o problema dos graus de instâncias recursais. O Brasil é o único País do mundo que tem na verdade quatro instâncias recursais. O Supremo funciona como quarta instância. Acho que precisamos acabar com isso.

Como?

Uma proposta que já fiz, inclusive para o próximo ministro da Justiça, é transformar os recursos especiais (recursos para o STJ) e extraordinários (recursos para o STF) em medidas rescisórias. A decisão transita em julgado e o sujeito entra com recurso que será examinado como ação rescisória (serviria para posteriormente anular a decisão). Se tirássemos o caráter recursal, que suspende a eficácia da decisão e leva toda a matéria para ser discutida nos tribunais superiores, os tribunais decidiriam e o processo estaria transitado em julgado. A admissibilidade do recurso especial e extraordinário não impediria o trânsito em julgado.

Qual é a consequência disso?

Isso acabaria, se você pensar, com o problema da ficha limpa. Não precisaria ficar discutindo se a lei ofende ou não ofende o princípio da inocência (de que ninguém é considerado culpado até o trânsito em julgado do processo). Isso acaba com o uso dos tribunais superiores (STJ e STF) como fator de dilação (de demora) do processo. Enquanto o processo não transita em julgado, ninguém faz nada e o tempo vai passando. O Supremo não consegue julgar isso rapidamente. E mais: isso valoriza os tribunais locais. O que eles decidirem, está decidido. Acaba com o assunto. Quem tiver razão, tenta rescindir a decisão.

Precisaria de um filtro para essas ações rescisórias?

Pode manter a repercussão geral. Alguns recursos não seriam admitidos. Mas não precisaria de um filtro adicional. O filtro estaria no próprio mecanismo de julgamento. Teremos causas que serão liquidadas pelos tribunais locais. Isso seria sensível para a população.

O sr. vai encampar essa proposta?

Eu vou propor isso. Ainda vou deixar isso amadurecer na cabeça dos outros. Na minha, isso já está muito assentado.

Por que precisa pensar mais?

Pode escrever que isso terá a resistência dos advogados. Pode ter certeza. Eu estava conversando com o ministro (José Eduardo Cardozo) e ele disse que nós podemos criar uma estratégia de discussão para convencer a opinião pública. É preciso mostrar para a opinião pública que esse é um avanço substancial.

O que seria necessário?

Precisaria de uma PEC (proposta de emenda à Constituição), porque vai mexer na disciplina constitucional. Mas se nós colocarmos no Pacto Republicano, com o apoio do governo e do Legislativo, nós vamos deixar esse pessoal gritando à vontade e sem nenhum argumento, porque em quase todos os países é assim mesmo.

Isso acabaria com a história de que quem tem dinheiro contrata um bom advogado para tentar mudar a decisão no STF ou adiar o julgamento até que o processo prescreva?

Esse é um dos subprodutos desse negócio. Para chegar aos tribunais de Justiça não precisa gastar muito.

Mas o CNJ, em outras gestões, apontou problemas envolvendo decisões dos juízes na primeira instância e dos tribunais de justiça. Isso atrapalha?

Isso é um exagero. Qual a taxa de provimento de recursos nos tribunais superiores (contra decisões das dos juízes e dos tribunais de justiça)? É baixíssima. E mais: onde há taxa um pouco mais elevada de provimento é em questão de habeas corpus.

Por que isso acontece?

Isso não é tanto porque os juízes queiram alterar as decisões do STF. É porque os juízes não recebem as decisões do Supremo. Eles tomam conhecimento da jurisprudência do STF quando recebem a nossa revista (de jurisprudência) três anos depois da decisão.

O sr. defende que as decisões do STF tenham maior influência sobre os demais juízes?

Eu acho que deveríamos caminhar para uma certa vinculatividade das decisões do Supremo e dos tribunais superiores em relação ao juízo. Os juízes dizem que isso tira a liberdade deles. Tira nada! Porque são eles que constroem as questões que chegam ao STF. Quando a causa chega aqui, os juízes já decidiram, os advogados já discutiram, o Ministério Público já se manifestou. Precisamos abdicar um pouco da falsa ideia de que precisa de liberdade exagerada. Quando o os tribunais superiores fixarem a tese, não tem mais motivo para ficar discutindo.

Que avaliação o senhor faz deste primeiro ano na presidência?

Foi um ano muito bom tanto para o Supremo quanto para o Conselho Nacional de Justiça. O mais importante: acho que nós conseguimos, no Rio de Janeiro, uma coisa inédita, um momento importantíssimo do ponto de vista da história do Judiciário brasileiro e do sistema de segurança, que foi o acordo que nos permitiu colocar órgãos jurisdicionais (como juízes, defensoria pública e Ministério Público) e extrajudiciais (como cartórios) nas Unidades de Polícia Pacificadora (UPPs).

Mas isso vai para todas as UPPs?

Todas. A UPP vai passar a ser um centro que reunirá a polícia militar, a polícia civil, o apoio das Forças Armadas, e terá mais a presença do Judiciário. Pela primeira vez a gente está com a esperança que as UPPs, com essa nova configuração mais heterogênea, exercerão papel importante, não apenas na pacificação, no sentido de acabar com a violência, mas também de promover aquelas comunidades. Se der certo, considero a coisa mais importante que o Judiciário fez no Brasil nos últimos 20 a 30 anos. Isso para mim já seria suficiente.

Isso pode ser difundido para o Brasil?

Sim. É um tipo de mecanismo para grandes centros. Nas pequenas cidades, funciona bem. Nos grandes centros há áreas não ocupadas pelo estado onde floresce o crime, a violência, conflitos sociais.

O STF não decidiu o destino da Ficha Limpa? Não foi ruim para o tribunal?

Não acho que fique mal. Foi uma coisa inevitável. Foi um processo de uma lei aprovada praticamente às vésperas da eleição, que provocou processos que demoram um tempo também às vésperas da eleição e esses processos ainda não chegaram ao STF. O Supremo não pode fazer nada. Nós discutimos só uma alínea de um artigo. Existem várias alíneas de vários artigos questionados. No ano que vem, esses processos vão subir (do TSE para o STF) e o Supremo vai decidir.

E por que o sr. não quis desempatar o julgamento?

Não quis usar o voto de qualidade (de desempate) porque os mesmos ministros que aprovaram a emenda regimental me dando esse poder, como estavam muito apaixonados, não queriam que eu usasse. Eu ia ter que impor uma decisão e isso realmente parecia um ato de despotismo. Não vou afirmar minha autoridade pelo mero prazer de afirmar a autoridade.

O Brasil foi condenado pela Corte Interamericana de Direitos Humanos por não ter punidos os responsáveis por mortes na Guerrilha do Araguaia. O STF disse que esses crimes estão anistiados. Que decisão o Estado deve cumprir?

Se o país deve cumprir ou não (a decisão da CIDH), responde o chefe do Estado brasileiro. Mas há algumas coisas que são indiscutíveis. Primeiro: a Corte Interamericana não é instância revisora do STF. Eles não têm competência nem função de rever as decisões do Supremo. A nossa decisão não fica sujeita ao reexame deles. Nossa decisão no plano interno continua tão válida quanto antes. Morreu o assunto.

Mas e no plano internacional?

O que se passa no plano internacional, e acho que o editorial do Estadão foi preciso, é que o Estado brasileiro assinou um tratado internacional e concorda com que a Corte decida, mas é uma decisão que tem mais caráter político do que jurisdicional. Em nenhuma cláusula do tratado há menção de que as decisões da Corte Interamericana se sobrepõem ou modificam as nossas decisões internas.

Como compatibilizar as duas decisões?

Se o presidente da República resolver indenizar as famílias (de mortos durante a Guerrilha do Araguaia), não há problema. Mas se abrirem um processo jurisdicional contra qualquer um que o Supremo considerou anistiado, o tribunal mata na hora. A população brasileira pode dormir tranquila quanto a isso.

O que está por trás da decisão?

Há interesses ideológicos. Não tenho nada contra. Mas cada país tem sua cultura e sua maneira de acertar as contas com o passado. Na África do Sul fizeram de um jeito, na Argentina fizeram de outro. Cada um sabe o que faz. Há muita pressão ideológica e de grupos pequenos. Nenhum de nós concorda com as atrocidades que foram cometidas. Agora, o que podemos fazer hoje? Todas as ações, penais e civis, estão prescritas.

Alega-se que foram crimes de lesa humanidade e, por isso, imprescritíveis.

A nossa Constituição, a partir de 88, disse que não prescreve. O que ficou para trás está prescrito. Se fosse hoje, não prescreveria. Não posso usar a Constituição para retroagir. Está tudo prescrito. Não temos o que fazer.

Como o sr. avalia a decisão do STF?

Eu acho pessoalmente que o STF deu uma decisão importante para pacificação da sociedade. É muito justo que se procure apurar autoria, responsabilidades, para prevenir futuras coisas. Mas do ponto de vista dos interesses superiores da sociedade, o STF deu uma contribuição importante. As Forças Armadas ainda poderiam se ressentir de certas coisas...

Se ressentir como?

Assim como há pessoas favoráveis a isso (punir torturadores da ditadura), há outras que acham que isso deve estar definitivamente enterrado. Na medida em que um sobe a voz, o outro também sobe. Aí, vamos numa escalada que não é boa para ninguém.

Poderia haver uma reação militar?

Não sei o que poderia acontecer. Sei que o que o STF fez foi muito bom.

A falta de um ministro desde agosto não atrapalhou o tribunal?

Acho que isso é uma eventualidade. Podia acontecer se o quorum estivesse completo e um ministro se desse por impedido. Deu-se muita atenção ao fato do 11º não ter sido indicado. Mas não há nada de preocupante.

Alguns processos teriam outra solução se o tribunal estivesse completo. Isso não traz insegurança?

Isso podia acontecer independente de faltar um ministro. São coisas pontuais. Não é regra. Não há nada preocupante.

O ministro Cesar Asfor Rocha foi cotado para a vaga, mas houve críticas por parte do STF. Que conceito o senhor tem dele?

Eu tenho por ele o mesmo conceito que tenho pelos outros juízes. Um bom juiz. Não tenho nada contra.

O presidente Lula deve decidir o destino de Cesare Battisti nos próximos dias. Há chances de o STF ser acionado novamente?

Possibilidade há. O STF disse que o presidente da República tinha que cumprir a decisão a menos que o tratado de extradição com a Itália lhe dessa alternativa. Suponhamos que ele tome uma atitude e alguém diga que o tratado não autoriza essa solução, a Itália poderá entrar com processo. Possibilidade há, mas depende da decisão do presidente.

O sr. enfrentou problemas com os conselheiros quando assumiu o CNJ. Como está agora?

Estamos bem. Evoluímos bem.

O sr. recebeu críticas de ser corporativista.

Circulou uma informação de que o presidente do CNJ é contrário à punição de juízes. Não diria que a informação é ridícula, mas é próxima disso. Não tem ninguém no CNJ e duvido que na magistratura exista outro que teve mais trabalho para a magistratura em termos de disciplina do que eu. Fui juiz auxiliar da Corregedoria do TJ de São Paulo por dois anos. Na corregedoria, eu era encarregado de fazer todos os processos disciplinares contra juízes. Eu fiz tantos processos disciplinares que dois juízes foram para a cadeia. Um deles cumpriu mais de 9 anos de cadeia por crimes cometidos no exercício da função e apurados por mim. O outro tomou uma pena de quatro anos. E mais oito juízes foram mandados embora sem processo crime. Ninguém fez isso no país. E mais: o CNJ aposentou um ministro do STJ e desembargadores do Rio de Janeiro e não foi com base no que o Conselho apurou. Do que eles se valeram? Do inquérito (da Operação Furacão) que preparei por mais de um ano no maior sigilo. Vão dizer que sou contra a punição de juízes? Não dá para desmentir a história. O CNJ na minha gestão puniu tantos juízes como nas outras gestões.

Mas o CNJ, na opinião do sr, está extrapolando?

O que estamos tentando mudar? E acho que já mudou é aquele clima de hostilidade que havia entre os juízes e o CNJ. Os juízes criaram uma hostilidade contra o Conselho. O clima era péssimo. Hoje estamos pacificados. Os juízes aceitam o CNJ e percebem que ele não é uma comissão geral de investigação do tempo da ditadura. A função do Conselho não é essa. Temos que punir os juízes com pudor, com respeito à instituição. Ninguém ganha nada explorando o que há de errado. O que interessa é que quando for o caso, manda o juiz pra rua.

Qual a opinião do sr. sobre as férias dos magistrados?

Eu, particularmente, penso que 60 dias não seria absurdo. Mas a sociedade não aceita isso. Mas existe um segundo problema que atingiu também os advogados. Sem as férias coletivas dos magistrados, os advogados não conseguem tirar férias. Uma solução que seria justa: preserva os 30 dias de férias e estabelece um período de recesso de um 20 dias em que tudo pararia. Aí, os advogados poderiam sair de férias.

Isso acabaria com a possibilidade de vender as férias?

Sim.

O STF condenou neste ano os primeiros parlamentares após a Constituição de 88.

Não digo que isso é uma conquista, porque condenar pessoas não é uma conquista.

Mas ainda não é pouco diante dos escândalos na política?

Não é pouco. Acontece que os processos que chegam ao STF provêm de inquéritos que demoram muito. É uma coisa que queremos corrigir e vai depender também do novo Código de Processo Penal. E depois, há uma série de expedientes na legislação que permitem que advogados mais experientes espichem os processos. Alguns chegam à prescrição. Alguns realmente não são crimes, e o tribunal é obrigado a absolver. E o tribunal julga com o que está nos autos.

O sr. é favor do fim do foro privilegiado?

Eu sou a favor da redução do foro. Não sou a favor do fim do foro. Acho que tem muita gente com foro privilegiado. Podia reduzir um pouco.

Onde está o exagero?

No número. Precisamos dar um tratamento menos generoso para o foro, reduzi-lo para cargos que realmente não podem ficar sem essa proteção. Acabar com o foro privilegiado é algo muito arriscado. Teríamos mais confusão do que benefícios.

Se o STF continuar nesse ritmo de condenações, parlamentares que respondem a processo podem aprovar o fim do foro?

Pode mesmo. Se vai acontecer, não sei.

Que expectativa o sr. tem para o governo Dilma Rousseff?

Estamos esperançosos para que faça um bom governo.

E como vê essa alternância de poder e agora a eleição de uma mulher?

Por enquanto, estamos indo muito bem. O país está crescendo, está aproveitando as oportunidades e condições objetivas externas, estamos com taxa de crescimento entre as maiores do mundo. Estamos indo bem. A área política está mais ou menos pacificada. Estamos no mais longo período de vigência de uma constituição sem incidentes. Os investidores externos confiam no país, acham que há segurança jurídica. Temos todas as condições de melhorar.

Como avalia o governo Lula?

Foi um governo bom. Não se pode dizer que foi um governo ruim. Terá tido algumas coisas que algumas pessoas não gostam, mas na soma geral das realizações foi um governo que avançou. O grande problema nosso, não sei como a presidente vai se comportar com relação a isso, é que precisamos investir em educação. Enquanto a Índia forma por ano 300 mil engenheiros, nós formamos 30 mil.

O sr. é defende o fim das transmissões ao vivo das sessões do STF?

Eu sou adepto. Se dependesse única e exclusivamente de mim, eu tiraria. Mas não é um problema da televisão. Para mim, o sistema é que não é bom. Não é porque transmitir é ruim. É porque o sistema dessa discussão pública é ruim, com ou sem televisão. Qualquer pessoa que propusesse extinguir a transmissão pela televisão seria acusada de crime de lesa pátria e que está pretendendo esconder as coisas da sociedade. É um fato irreversível.

Não está faltando alguém que pacifique esse plenário? Até para evitar os bate-bocas?

Não. Está faltando um sistema que modifique o atual. Isso é um produto do sistema. Em lugar nenhum do mundo, exceto no Brasil, no México e em alguns cantões da Suíça, nenhuma corte constitucional delibera em público.

Por quê?

Por diversos motivos. Vamos começar pelos motivos mais formais. Primeiro: a deliberação em público, como se processa no STF, não permite que a sociedade capte o pensamento da Corte como órgão unitário. Há pensamentos isolados. Isso é ruim. Segundo: o fato de estar exposto ao público e, mais do que isso, a câmeras de televisão altera natural e inapelavelmente o modo de ser das pessoas. Não digo nenhuma novidade. Ninguém canta em público como canta quando está sozinho no chuveiro em casa.

Como é isso?

Eu sei que estou em público, meu comportamento se altera. Se estou sendo julgado pelo público, se estou sendo exposto, eu me altero e não é por que eu queira, mas é por que é da condição humana. O homem tem receio de se expor e usa de mecanismos internos psicológicos de autodefesa que se manifestam de várias formas, inclusive pelas trocas mais ásperas de opiniões. Se estivéssemos numa sala fechada, como as Cortes fazem, discutindo um assunto, eu poderia expor minha opinião em voz baixa.

O debate público não acrescentaria nada. É isso?

Não acrescenta nada. Isso distorce. Nenhum ser humano é capaz de ser pura racionalidade e frieza. Exigir isso do Supremo é uma aberração. É impossível nesse sistema imaginar que alguém consiga pacificar. Não consegue.

Essa forma de decidir não privilegia a transparência e a publicidade?

Transparência é bom? É ótimo. Publicidade é bom? É ótimo. Ao contrário, em termos absolutos, não. Nosso problema não é a publicidade, mas o excesso de publicidade. O que estou tentando fazer. Eu me considero um Dom Quixote. Eu gostaria de reunir no ano que vem aqui uns cinco ou seis presidentes das Cortes mais importantes do mundo num evento que quero dar uma dimensão nacional para eles exporem os sistemas de decisão das cortes para sensibilizar a opinião pública. Se a opinião pública resistir qualquer tentativa de mudar está fadada ao fracasso.


segunda-feira, 27 de dezembro de 2010

Blog a Luz Clara, muito claro e evidente o sujeito da foto: é a escuridão, a escuridão...

Retrato do meu País

Retrato do meu País, 2010
© Pereira Lopes

É Marta Bellini: sindrome de Chalita, e de todos os "produtivos" que produzem aquilo, só aquillo. Aliás, não preencho mais o Lattes...

PROFESSOR ROMANO:

AGORA A PIADA QUE UMA AMIGA ME CONTA:

Nós, nas universidades, fomos pegos pela SÍNDROME GABRIEL CHALITA, publicamos 3 a 6 livros por ano para a cultura lattes com nossas receitas.

No Blog do jornal O Estado de São Paulo, um longo poema feito de gente linda, técnica e passado. Tudo harmonioso !


Ikpeng, os “exilados” do Xingu

26 de dezembro de 2010 0:01 por Nilton Fukuda

No ano que vem, o Parque Indígena do Xingu, no nordeste no Mato Grosso, completa 50 anos de histórias e mitos. Com 2,6 milhões de hectares, a área foi desbravada pelos irmãos Cláudio, Orlando e Leonardo Villas Boas. O Estado visitou no início de dezembro a aldeia Moygu, dos Ikpeng, na região central do parque.

Contactados em 1964 pelos Villas Boas na região do Rio Jatobá, fora do parque, os Ikpeng foram levados para dentro da terra indígena porque corriam risco de extinção. Naquela época eram apenas 50. Hoje são cerca de 400 índios que buscam uma reparação: querem reaver a área do Jatobá, onde seus ancestrais nasceram e morreram. Lá, dizem os índios, estão suas “placentas”. Leia matéria. Assista o vídeo.

Texto e fotos: Roberto Almeida

Araka Ikpeng, o cacique da aldeia, caminha em direção à entrada da maloca principal. Foto: Roberto Almeida/AE

Menina Ikpeng à porta de uma das onze escuras malocas da aldeia Moygu. Foto: Roberto Almeida/AE

Entre as crianças Ikpeng, o não-índio ainda é curiosidade – eles olham fixamente para a câmera. Foto: Roberto Almeida/AE

Garotos Ikpeng se preparam para a festa “Moyngo”, que significa “alegria” pelo fim da estação seca. Foto: Roberto Almeida/AE

Pai e filho, já preparados para a festa, esperam o início da dança atrás de uma das malocas. Foto: Roberto Almeida/AE

Kamati Ikpeng, autointitulado “cineasta da aldeia”, registra o início da festa. Foto: Roberto Almeida/AE

A dança acontece no centro da aldeia e no interior da maloca principal. Foto: Roberto Almeida/AE

Os mais velhos da aldeia não deixam de lado as bordunas, como na foto, e o arco e flecha. Foto: Roberto Almeida/AE

Enfileirados, os meninos Ikpeng batem o pé em ritmo contínuo, pontuando a festa com chocalhos de caroço de pequi. Foto: Roberto Almeida/AE

Furigá Ikpeng, um dos líderes da aldeia, assiste à apresentação. Foto: Roberto Almeida/AE

Com filho no colo, jovem Ikpeng grava os cantos do Moyngo para guardá-los no acervo digital da aldeia. Foto: Roberto Almeida/AE

Garotos adornados com algodão e pintados com jenipapo e urucum dançam o Moyngo. Foto: Roberto Almeida/AE

Menina Ikpeng, com algodão no cabelo como parte dos adereços, brinca com um pente de cabelos. Foto: Roberto Almeida/AE

As danças continuam por toda a tarde, formada por jovens casais Ikpeng. Foto: Roberto Almeida/AE

No detalhe, o cabelo pintado de urucum e as listras negras de uma mistura de jenipapo e carvão. Foto: Roberto Almeida/AE

Fantasias dos Ikpeng, feitas de algodão e madeira, emulam animais, como pássaros da região do Xingu. Foto: Roberto Almeida/AE

Futebol não é proibido na aldeia e as meninas também jogam. Foto: Roberto Almeida/AE

Uma cigarra zune na mão fechada do garotinho Ikpeng, que se diverte ao ouvi-la. Foto: Roberto Almeida/AE

Reunidos na mata, os garotos coletam e moldam folhas e galhos para fazer realizar seus desejos. Foto: Roberto Almeida/AE

No final da tarde, após calor sufocante, uma chuva forte cai na aldeia Moygu e refresca o garotinho. Foto: Roberto Almeida/AE

Sem demora, eles saem correndo da maloca para brincar nas poças d’água que se formam no centro da aldeia. Foto: Roberto Almeida/AE

Com seus “desejos” de folhas e galhos amarrados às costas, os jovens Ikpeng voltam a dançar. Foto: Roberto Almeida/AE

O sol ressurge e logo se põe no Xingu: pai e filhos vão descansar em sua maloca. Foto: Roberto Almeida/AE

Do outro lado, um arco-íris aparece por sobre a maloca principal e as crianças saem para brincar. Foto: Roberto Almeida/AE

No dia seguinte, alunos da escola indígena recebem seus diplomas e posam para suas fotos de formatura . Foto: Roberto Almeida/AE

O céu vermelho do Xingu contrasta com a jovem Ikpeng, que leva uma lata d’água na cabeça até sua maloca. Foto: Roberto Almeida/AE