Due piloti si rifiutano di bombardare e fanno precipitare un caccia militare
«In Libia 10mila morti e 50mila feriti»
A Tripoli si scavano le fosse comuni
Lo ha detto alla televisione al-Arabiya il componente libico della Corte Penale Internazionale al Shanuka
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Due piloti si rifiutano di bombardare e fanno precipitare un caccia militare
«In Libia 10mila morti e 50mila feriti»
A Tripoli si scavano le fosse comuni
Lo ha detto alla televisione al-Arabiya il componente libico della Corte Penale Internazionale al Shanuka
MILANO - Almeno 10mila persone sono morte in Libia dall'inizio delle proteste contro il regime di Muammar Gheddafi. Lo ha detto alla televisione al-Arabiya, il componente libico della Corte Penale Internazionale, Sayed al Shanuka. Parlando da Parigi, Al Shanuka ha anche sostenuto che i feriti potrebbero raggiungere quota 50mila. Al Shanuka, presidente della Commissione Giustizia e Sviluppo della Cpi, secondo Al-Arabiya, ha sottolineato che «in questi regimi dittatoriali il popolo non può manifestare». «I- popolo libico, come la maggior parte dei popoli arabi, ha sofferto, ma gli è stata data l'opportunità di ribellarsi»; e ha ricordato che «da quando Gheddafi è arrivato al potere ha assassinato migliaia di persone e anche migliaia di persone nelle stesse carceri». Una conferma al nuovo drammatico bilancio di vittime è arrivata da un medico francese appena rientrato da Bengasi, che ha detto che gli scontri nella seconda città della Libia hanno causato «oltre 2.000 morti». «Bengasi - ha detto Gerard Buffet, attivo per un anno e mezzo al Bengasi Medical Center, intervistato dal sito internet del settimanale Le Point - è stata attaccata di giovedì. Le nostre ambulanze sul terreno hanno contato il primo giorno 75 morti, il secondo 200, e poi più di 500». «In totale - ha aggiunto - penso che ci siano più di duemila morti». Profughi lasciano la Libia dal valico di Sallum (Ap)
ESODO - Il primo segnale che indica quali potrebbero essere le dimensioni dell'esodo dalla Libia si è già avuto: 20mila persone hanno lasciato la notte scorsa il paese attraverso il valico di Sallum con l'Egitto. Lo riferisce Al Jazeera, citando un suo inviato al confine che ha parlato con fonti militari egiziane. La frontiera, perlomeno sul lato egiziano, è sotto il controllo dell'esercito del Cairo, secondo le fonti. Sembra che i soldati lascino passare solo forniture mediche. Per quanto riguarda il confine occidentale della Libia, l'Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim) afferma che migliaia di stranieri - libanesi, turchi, siriani e tedeschi - si sono uniti ai tunisini e passano in Tunisia per tentare di tornare nei loro paesi da lì.
FOSSE COMUNI - Decine e decine di fosse scavate, allineate, alcune già coperte con del cemento. A mostrare le immagini di quelle che sembrano essere fosse comuni è un video amatoriale girato martedì a Tripoli e diffuso da "Onedayonearth". Il video mostra le fosse sulla spiaggia antistante il lungomare della capitale libica e tanti uomini al lavoro, in quello che appare come un grande cimitero.
CACCIA AI REPORTER - I giornalisti che sono entrati in Libia illegalmente sono da considerarsi «fuorilegge»: lo ha detto il vice-ministro degli Esteri libico. Nelle ultime ventiquattr'ore in Libia sono arrivati gli inviati dei media occidentali, tra i quali anche alcuni italiani, che stanno cominciando a raccontare le notizie sul terreno.
MARINAI EVITANO LA STRAGE E GETTANO LE ARMI IN MARE - La furia che il regime ha scatenato contro la rivolta bombardando i manifestanti, poteva essere ancora più estrema. Due navi militari libiche avevano infatti ricevuto l'ordine di «bombardare Bengasi dal mare» ma hanno disertato e si trovano ora al largo di Malta. Lo hanno riferito fonti militari maltesi citate dall'emittente araba Al Jazeera, che ha poi riferito come molti marinai abbiamo gettato le armi in mare.
DUE PILOTI FANNO PRECIPITARE UN CACCIA - Un caccia libico del tipo Sukhoi 22, di fabbricazione russa, è precipitato ad ovest della città di Adjabiya. Lo ha annunciato il sito del quotidiano libico "Quryna", considerato vicino a Seifulislam Gheddafi. Fonti militari hanno confermato la notizia al giornale, sostenendo che il velivolo era decollato da Tripoli con l'obiettivo di bombardare Bengasi. Un ufficiale dell'aviazione, che ha il grado di colonnello, ha spiegato che «i due piloti a bordo, Abdel Salam Atiya al-Abdali e Ali Omar Gheddafi, si sono rifiutati di eseguire l'ordine di bombardare Bengasi ed hanno fatto precipitare il velivolo dopo essersi lanciati con il paracadute».
150 ITALIANI BLOCCATI A MISURATA - Cresce intanto la preoccupazione per i 150 italiani bloccati a Misurata, sul golfo della Sirte, in Libia. A lanciare l'allarme è Mara Foccoli, la moglie di uno dei lavoratori asserragliati nella sede della Lybian Iron Steel Company al compound di campo Lisco. «Ho sentito via Skype mio marito Giorgio - spiega Mara Foccoli - sono bloccati in 150. Sentono le sirene e cannoneggiare vicino alla loro sede e sono preoccupati. Ho allertato la Farnesina, mi hanno detto che sono al corrente della situazione e stanno valutando come riportarli a casa».
MIGLIAIA DI STRANIERI IN AEROPORTO - Nel frattempo restano migliaia gli stranieri bloccati nel principale aeroporto libico in attesa di voli per tornare a casa. «L'aeroporto è stato assalito, è indescrivibile il numero delle persone», ha detto Kathleen Burnett, cittadina di Baltimora in Ohio, mentre scendeva da un volo dell'Austrian Airlines partito da Tripoli e diretto a Vienna. «È un caos totale», ha aggiunto. British Airways e Emirates, la compagnia aerea più grande del Medioriente, hanno cancellato voli diretti a Tripoli.
LA UE DECIDE SULLE SANZIONI - Mercoledì pomeriggio a Bruxelles gli ambasciatori dei Ventisette si riuniranno con l'Alto rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton, per discutere di eventuali ulteriori misure da prendere sulla crisi in Libia. Dopo che martedì è statoa annunciata l'interruzione dei negoziati Ue-Libia, non sono escluse le sanzioni, richieste da diversi stati membri fra cui la Francia e la Germania, e si parlerà anche del possibile ricorso alle unità militari dell'Ue, i cosiddetti «battle groups».
23 febbraio 2011