Anna Elisabetta Galeotti, La politica del rispetto. I fondamenti etici della democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 189, ISBN 978-88-420-9309-1.
Roma- Bari, Laterza, 2009, pp. 430, € 24, ISBN 9 788861 591950.
Recensione di Francesca Rigotti – 22/06/2010
Rispetto, democrazia, diritti, riconoscimento, identità, multiculturalismo
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Uno dei lavori meglio riusciti e più innovativi di Anna Elisabetta Galeotti, questo La politica del rispetto, che giunge, attraverso un’analisi tanto raffinata quanto chiaramente esposta, a demarcare il principio del rispetto tracciandone i confini relativamente ai principi, attigui ma non identici, di riconoscimento e diritti, e ponendolo a fondamento etico della legittimità democratica e dei suoi principi politici di base. Il tragitto espositivo-argomentativo si snoda triadicamente, al termine di un’introduzione nella quale si giustifica sia la preminenza del rispetto su altri principi, sia l'associazione non scontata né banale del sostantivo rispetto con l'aggettivo eguale, considerando i suoi rapporti rispettivamente con l'ordine liberaldemocratico, con il principio del riconoscimento e con la politica.
Già nell'introduzione il senso dell'attribuzione di ER (acronimo di Eguale Rispetto) riceve una spiegazione genealogica, analoga a quella riguardante l'attribuzione dei diritti e delle possibilità di partecipare attivamente e passivamente alle procedure democratiche: da un nucleo ristretto di persone che riceveva un rispetto/onore diseguale dovuto al diverso status sociale, a un allargamento per cerchi concentrici che, procedendo per ampliamenti e revisioni successive viene a inglobare gruppi e settori di popolazione sempre più ampi fino all'attuale generalizzazione e universalizzazione dell'ER a tutte le persone, intese come esseri umani. Si tratta di un punto importante sul quale desidero tornare e tornerò.
Segue l'esposizione delle ragioni secolariste-neutrali, delle ragioni del liberalismo e di quelle che si richiamano a etiche fortemente veritative di tipo religioso. Importante l'argomento per il quale il tendere verso forme di rispetto eguale e reciproco favorisce il dialogo e conduce a forme di delibera consensuale molto più che atteggiamenti di condiscendenza, compatimento o paternalismo, irritanti e indisponenti per chi non la pensa così e si sente investito da comportamenti di imposizione e inferiorizzazione, del tutto inefficaci a persuadere della propria presunta verità quanto efficaci a generare negli altri insofferenza e ribellione: se invece si rispettano gli altri pur giudicando sbagliate le loro vedute, si accredita loro «la nostra stessa sincerità e la nostra integrità nel sostenere le proprie idee» (p. 161). Viene posta così un'eccellente premessa al dialogo, che più ampiamente fiorirà quanto più le parti si guarderanno con E.R. In questo modo sarà più facilmente riconosciuta la dignità delle proprie concezioni (della giustizia o altro) in merito a un unico concetto (della giustizia o di altro).
Un altro punto significativo trattato nel cap. II, La politica del rispetto, è quello che si collega alle tematiche del multiculturalismo e ai problemi di identità singole e collettive. Chi deve godere di eguale rispetto, si chiede infatti Galeotti, riponendosi la domanda già formulata da Charles Taylor nel saggio del 1992, The Politics of Recognition, (tr. it. La politica del riconoscimento, in J. Habermas- Ch. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 9-62)? La risposta di Galeotti è chiara: il rispetto deve andare alla persona, al singolo individuo del gruppo, non perché il gruppo in sé non lo meriti, ma perché non può pensare di riceverlo incondizionatamente come invece succede alle persone (le quali tuttavia possono anche perdere il rispetto degli altri a causa di comportamenti indegni, anche se mai perderanno il diritto a essere trattati con rispetto e nel rispetto dei diritti civili e politici).
Alla questione se sia possibile rispettare una persona anche se riteniamo che la sua identità di gruppo non sia rispettabile, Galeotti risponde che questo è possibile grazie alla pratica del «riconoscimento debole», che consiste nel riconoscere che certe differenze vanno rispettate perché fanno parte delle opinioni legittime dei cittadini. Questo punto meriterebbe a mio avviso uno svolgimento più ampio e un'argomentazione più serrata perché in effetti è arduo sentirsi rispettati quando il tuo gruppo di ascrizione è disprezzato (i neri, gli ebrei, gli arabi, le donne) né puoi cambiare l'appartenenza a meno di non schiarirti la pelle come Michael Jackson o cambiare religione come Edith Stein e Magdi Allam. Il punto è cruciale e una più raffinata articolazione del rapporto tra rispetto dell'identità del singolo e del gruppo sarebbe desiderabile.
Ho invece difficoltà ad accettare con serenità l'argomento genealogico dell'inclusione, che qui, come annunciato, riprendo. Come spiega Peter Singer, il cerchio si allarga e si estende e man mano rientrano nei diritti, nella democrazia, nel riconoscimento, nel rispetto, gruppi e sezioni che non vi rientravano. Tutto qui. Basta. Il fatto è che non basta. Non è che non si accetti questo dato come storicamente avvenuto, anzi. Tuttavia la dimensione quantitativa altera anche quella qualitativa: è riduttivo parlare di democrazia, rispetto, diritti nel momento in cui essi riguardano solamente la solita sezione sociale composta da maschi-adulti-bianchi-liberi-istruiti- possidenti.
La definizione di alcuni importanti concetti politici teorici della tradizione occidentale, in particolare contratto, democrazia e diritti, si basa spesso su assunti semplicemente quantitativi. Ciò significa che le condizioni di parità contrattuale e poi quelle relative ai diritti e alla cittadinanza democratica vengono garantite a un piccolo nucleo formato da maschi adulti liberi e possidenti, bianchi e istruiti. Pian piano il nucleo si allarga e assorbe altre fasce a guisa di una città che estende e allarga la cinta delle mura accogliendo sempre nuovi settori di popolazione. È successo ai «diritti dell'uomo» che nelle prime formulazioni tardo settecentesche comprendevano, senza dirlo naturalmente, soltanto maschi, adulti, liberi e possidenti, è successo e succede al rispetto.
La democrazia delle origini - quella della polis greca come quella delle prime colonie nordamericane - escluse per un tempo lunghissimo schiavi, donne, bambini: le teorie dei diritti pure, tant'è che furono necessarie dichiarazioni successive – dei diritti della donna, del fanciullo, degli animali... - per ribadire l'inclusione di questi ultimi senza continuare a giocare sull'ambiguità del termine «diritti dell'uomo». La teoria del contratto esclude, nelle sue prime formulazioni, donne, schiavi e bambini, in quelle recenti disabili, non-cittadini, animali non umani, sostiene con buone ragioni Martha Nussbaum. La domanda che mi pongo e che pongo a Galeotti è la seguente: siamo sicuri che sia giusto e corretto chiamare democrazia, diritti e contratto sociale, rispetto e riconoscimento tout court concetti, concezioni e condizioni politiche marchiati da forme così gravi di esclusione? Siamo convinti che si tratti semplicemente di una finezza semantica, di omissioni non gravi, di termini quantitativi che non incidono sulla qualità? Siamo certi che la progressiva estensione delle prerogative proprie dell'individuo, in ragione della sua universalità, a identità/differenze precedentemente escluse, non certo cancelli il referente primo della figura politica, ovvero il protagonista politico della società moderna: il padre, maschio, adulto, bianco e proprietario, che quello rimane, ma compensi in qualche modo la sofferenza di tutte le persone che l'esclusione l'hanno subita?
Nella sua «definizione minima di democrazia» Norberto Bobbio chiamava la democrazia «governo del popolo» e poi aggiungeva che tutto sta nel definire «chi» è il popolo. Oggi sono tutti i cittadini maggiorenni; ieri erano i cittadini maschi bianchi possidenti. Sempre democrazia era. O no?
In fondo chi accetta questa dottrina dell'inclusione per cerchi concentrici pare aderire al principio quantitativo espresso da Hegel secondo il quale si verifica nella storia un incremento di libertà, dal mondo orientale (in cui uno solo è libero), al mondo greco-romano (in cui pochi sono liberi), a quello cristiano-germanico (ove tutti gli uomini sono liberi). Sempre libertà è. O no? È libertà la libertà di uno solo, è democrazia quella che esclude metà della popolazione, sono diritti quelli che escludono le donne, è un contratto sociale degno di tale nome quello che non comprende le persone disabili? È possibile correggere le sviste, gli scotomi delle teorie precedenti, applicando un semplice criterio quantitativo? O non occorrerebbe una riformulazione delle strutture teoriche, non servirebbero nuovi apparati concettuali?
Indice
Ringraziamenti
Introduzione
1. L'importanza del rispetto- 1.1. Ruolo fondazionale del rispetto-1.2. Diritti e rispetto: che cosa viene prima? 2. Il rispetto e la legittimità liberaldemocratica – 2.1. L'argomento del rispetto tra le prevalenti giustificazioni della politica democratica – 2.2. Perché la legittimità è un problema? - 2.3. La preferibilità del rispetto per la legittimità democratica – 2.4. Il punto di incrocio normativo – 2.5. Eguale rispetto e liberalismo politico – 2.6. L'argomento «a contrario» della gerarchia – 3. L'analitica del rispetto – 3.1. La convivenza basata sul rispetto- 3.2. La scatola nera – 3.3. Il significato di rispetto – 4. La controversa base dell'eguale rispetto – 4.1. Perché rispetto «eguale»? - 4.2. Dall'onore al rispetto – 4.3. Chi sono le persone? - 5. Eguale rispetto e politica del riconoscimento
I. L'eguaglianza di rispetto e i fondamenti
dell'ordine liberaldemocratico
1.L'etica pubblica dell'eguale rispetto – 1.1. Ragioni morali e ragioni politiche – 1.2. Dispute fra tipi di ragioni – 2. Le posizioni alternative – 2.1. Ragioni neutrali a favore del liberalismo democratico – 2.2. Ragioni liberali a favore del liberalismo democratico – 2.3. Fondamenti spessi dei post-secolari – 2.4. Lo stallo fra verità che non riesce a trionfare e neutralità che non riesce a motivare – 3. Caratterizzazione del principio dell'eguale rispetto – 3.1. La differenza tra rispetto e relativismo – 3.2. Il rifiuto del'imposizione e dell'inferiorizzazione – 4. Eguale rispetto e ragionevolezza – 4.1. Solo i ragionevoli rispettano o solo chi rispetta è ragionevole? 4.2. I vincoli normativi delle rivendicazioni di giustizia – 5. Eguale rispetto e metodo di «avoidance»- 5.1. Perché mai «avoidance» - 5.2. Il rispetto sostiene la ragionevolezza – 6. Oltre Rawls e Larmore – 6.1. La moralità del rispetto – 6.2. La generalizzazione del rispetto nel linguaggio politico contemporaneo – 6.3. La mossa di Larmore oltre Rawls – 6.4. Però: da dove viene il rispetto? - 6.5. Illustrazione dell'universale pratico dell'eguale rispetto – 7. Tirando le fila.
II. Il rispetto come riconoscimento
1. Due concetti di rispetto – 2 – Incondizionatezza e perdita del rispetto – 2.1. Il caso di Mengele e del marito infedele – 2.2. Lo status di persona – Sospensione del riguardo e obblighi di trattamento rispettosi – 2.4. Persone e casi di confine – 2.5. Persone e disconoscimenti – 3- Il rispetto in seconda persona – 3.1. Rispetto verticale e orizzontale – 3.2. Non vogliamo essere rispettati per dovere – 3.3. Universalità e particolarità dell'attribuzione di rispetto- 3.4. Che cos'è un atto individualizzante di riconoscimento? - 4. Rispetto e diritti – 4.1. Diritti senza rispetto – 4.2. Rispetto senza diritti – 4.3. Natura indiretta dell'attribuzione di rispetto – 4.4. Lotte per il riconoscimento – 5. Conseguenze e implicazioni del rispetto-riconoscimento – 6. Rispetto eguale – 6.1. Due strade per giustificare l'eguale rispetto – 6.2. Dignità delle persone e proprietà di campo – 6.3. Eguaglianza, gerarchia e meritocrazia
III. La politica del rispetto
1. Genealogia del rispetto e persone invisibili – 1.1. Duchi e persone – 1.2. Un club esclusivo – 1.3. Carattere e corpo – 2. Verso un modello inclusivo di persona – 2.1. Insufficienza dei diritti – 2.2. esclusione e «double bind» - 3. Rispetto per le persone o per le identità collettive? 3.1. Dignità e identità – 3.2. La terza via del rispetto – 4. La politica del riconoscimento è un rimedio possibile? - 4.1. Da paria a pari – 4.2. I mezzi e i fini del riconoscimento – 5. Il «che cosa» che significa rispetto – 5.1. Aspetti negoziabili e non delle richieste di rispetto – 5.2. Una tipologia delle richieste di rispetto – 6. Obiezioni e contro-obiezioni alla politica del riconoscimento – 6.1. L'obiezione del particolarismo – 6.2. L'obiezione della balcanizzazione – 6.3. L'obiezione della politica simbolica – 7. Per concludere.
Conclusioni. L'irrinunciabilità del rispetto
eguale per le persone
1. Giustificazione del rispetto come fondamento politico – 2. Perché il rispetto e perché «eguale»? - 3. Le implicazioni dell'eguale rispetto.
Cos'altro leggere
1. Lo sfondo – 2. Il rispetto nella filosofia morale – 3. Il riconoscimento tra morale e politica – 4. L'eguale rispetto nell'etica democratica.
BibliografiaL'autrice
Anna Elisabetta Galeotti è professore ordinario di Filosofia politica all'Università del Piemonte orientale, a Vercelli
Link
www.rsi.ch/it/home/networks/retedue/approfondimento/inaltreparole.html
http://www.olinews.it/mt/archives/cultura/