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Grazie, Capitano
Quando ci vuole ci vuole. Ci sono espressioni che, pur usurate dalla
quotidianità, conservano una loro volgarità di fondo. Ma in circostanze
come queste, quando l’intontito comandante della Concordia sembra non
rendersi conto del disastro che ha combinato, assumono persino un che di
nobile, quasi fossero l’ultima risorsa della disperazione.
La drammatica telefonata tra Francesco Schettino e il capitano di
fregata Gregorio Maria De Falco della Capitaneria di porto di Livorno è
forse il documento che meglio testimonia le due anime dell’Italia. Da
una parte un uomo irrimediabilmente perso, un comandante codardo e
fellone che rifugge alle sue responsabilità, di uomo e di ufficiale, e
che si sta macchiando di un’onta incancellabile.
Dall’altra un uomo energico che capisce immediatamente la portata
della tragedia e cerca di richiamare con voce alterata il vile ai suoi
obblighi. In mezzo un mondo che affonda, con una forza metaforica
persino insolente, con una ferita più grande di quello squarcio sulla
fiancata.
Il capitano De Falco fosse stato sulla nave sarebbe sceso
per ultimo, come vuole l’etica del mare. Al telefono non può che
appellarsi al bene più prezioso ed esigente che possediamo: la
responsabilità personale. Ogni volta che succede un dramma la colpa è
sempre di un altro, persona o entità astratta non importa. Eppure la
responsabilità personale — quell’insieme di competenza e di senso del
dovere, di cura e di coscienza civica — dovrebbe essere condizione
necessaria per ogni forma di comando, in terra come in mare. E invece le
nostre miserie e le nostre fragilità ci indicano sempre una via di
fuga, ben sapendo che il coraggio rende positivi anche i vizi e la viltà
rende negative le virtù.
Quella frase «Vada a bordo, cazzo!» («Get on Board, Damn it!» così
tradotta nei tg americani) è qualcosa di più di un grido di dolore, di
un inno motivazionale, di un segnale di riscossa. Il naufragio è uno
degli archetipi di ogni letteratura perché illustra i rischi
dell’esistenza umana nel corso della «navigazione della vita». Esso
rinvia agli atteggiamenti fondamentali che si assumono nei confronti del
mondo: in favore della sicurezza o del rischio, dell’estraneità o del
coinvolgimento negli eventi, del ruolo di chi sprofonda e di chi sta a
guardare dalla terraferma.
Ma ci vuole un grido che scuota e ci infonda coraggio, che, ancora
una volta, ci richiami alle nostre responsabilità. Ecco perché ieri su
Twitter era l’hashtag più utilizzato, una sorta di mantra collettivo.
Ecco perché vorremmo, in ogni occasione, per chi guida il Paese o per
chi fa semplicemente il suo mestiere, ci fosse qualcuno come il capitano
De Falco che ci richiamasse perentoriamente all’ordine. (Intanto, su
Internet, c’è già chi vende la t-shirt con la frase. E qui torniamo
all’Italia degli Schettino).
Vada a bordo, e quello non ci è andato (ora è a casa agli arresti
domiciliari in attesa che la giustizia faccia il suo corso e che la
coscienza gli ridesti il senso dell’onore). Due uomini, casualmente due
marinai campani, due storie: l’una che ci umilia, l’altra che tenta di
riscattarci. Grazie capitano De Falco, il nostro Paese ha estremo
bisogno di gente come lei.
18 gennaio 2012 | 9:55